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Questo saggio stato pubblicato per la prima volta in Itinerari della musica americana, a cura di Gianmario Borio e Gabrio Taglietti, Lucca, una cosa rara-Lim 1996, pp. 119-134.
Il circolo di musicisti che si formò intorno a John Cage verso la fine degli anni Quaranta - Earle Brown, Morton Feldman, David Tudor e Christan Wolff - aveva uno spiccato interesse per le arti figurative. Già all'epoca dei suoi studi con Arnold Schönberg, nel 1935, Cage si era avvicinato alla pittura astratta - a Paul Klee, Vasilij Kandinskij e Piet Mondrian - iniziando egli stesso a dipingere. L'incontro più ricco di conseguenze fu tuttavia quello avvenuto alla Cornish School di Seattle con Mark Tobey; in particolare le pitture bianche di Tobey suggerirono a Cage l'idea di un'arte non rappresentativa, completamente astratta.[1] Ed è forse una conseguenza dell'incontro con Cage il fatto che Tobey nel 1941 cominciò a studiare pianoforte e composizione. Nella musica Tobey era affascinato soprattutto dai fenomeni di ritmo e contrappunto; i soggetti delle sue pitture - stelle, luci brulicanti, masse di uomini e panorami urbani - vengono realizzati attraverso l'interazione di innumerevoli linee che danno vita a un unico evento caratterizzato da una pulsazione ritmica generale.[2] Tobey operava sulla costa occidentale, area in cui l'influenza delle filosofie e religioni asiatiche è maggiore che non in altre parti degli Stati Uniti. Questo retroterra culturale contribuisce a comprendere l'affinità di pensiero che Cage provò di fronte alle sue creazioni. Il nucleo dei pittori informali americani si trovava però a New York: Jackson Pollock, Willem de Kooning, Mark Rothko, Clyfford Still, Robert Motherwell, Franz Kline, Philip Guston, per nominarne solo alcuni. Tra i compositori della cerchia di Cage - che tra il 1948 e il 1951 tenne diverse conferenze alla scuola sperimentale intitolata Subjects of the Artist e al Club[3] - colui che rimase per tutta la vita più vicino e fedele alla poetica dell'espressionismo astratto è senz'altro Feldman. Alcuni titoli di sue opere sono espliciti omaggi a questi artisti (For Franz Kline, De Kooning per es.); nel 1971 Feldman scrisse Rothko Chapel, composizione destinata allo spazio ottagonale di Houston per il quale Rothko, su commissione di John e Dominique de Menil, aveva dipinto alcuni dei suoi ultimi quadri.[4]
Feldman accompagnò la sua attività compositiva con una serie di riflessioni, molte delle quali sono dedicate al legame tra musica e pittura.[5] In uno di questi saggi, <<Between categories>>,[6] egli, definendo la sua musica come arte di <<superficie>>, prese le distanze dalla concezione della composizione come costruzione di nessi sonori nel tempo:
Il mio interesse per la superficie è il tema della mia musica. In questo senso le mie composizioni non sono affatto 'composizioni'. Si potrebbe paragonarle a una tela temporale. Dipingo questa tela con colori musicali. Ho imparato che quanto più si compone o costruisce, tanto più si impedisce a una temporalità ancora indisturbata di diventare la metafora per il controllo della musica. Entrambi i concetti, tempo e spazio, sono stati impiegati nella musica e nelle arti figurative come in matematica, letteratura, filosofia e scienza. [...] Al mio lavoro preferisco pensare così: tra le categorie. Tra tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra costruzione della musica e la sua superficie.[7]
Comporre tra le categorie significa anche lasciare emergere un'<<emozione che non viene afferrata in categorie dai filosofi>>. Questa emozione scaturisce dall'<<esperienza astratta>> - termine con il quale Feldman caratterizza il suo lavoro, ma che in fondo designa la quintessenza del movimento artistico emerso a New York alla fine degli anni Quaranta. Infatti l'astratto dell'<<esperienza astratta>> non è l'opposto del concreto o del reale, ma è piuttosto ciò che non si lascia rappresentare nel quadro pur agendo sul piano sensoriale. Come i pittori newyorkesi, Feldman era convinto che per ottenere una visibilità - che comunque si coglierà sempre solo come 'clima' dell'artefatto - bisognasse innanzitutto creare situazioni di transizione e dissolvimento. Le categorie determinanti della musica d'arte, come quelle di inizio e conclusione, perdono senso in tale concezione atmosferica dell'opera. Si comincia una composizione con un <<salto come se si andasse in un altro luogo dove il tempo muta>>;[8] per converso non si termina un'opera con un gesto paralinguistico di chiusura, ma si 'abbandona' semplicemente quel luogo.
Nelle miniature pianistiche degli anni Cinquanta Feldman persegue una logica asimmetrica e decentralizzata lontana dal pensiero strutturale che Milton Babbitt, Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono sviluppano in quello stesso periodo. La configurazione del tempo non è determinata a priori, ma scaturisce immediatamente dall'oggetto sonoro; qualsiasi tipo di figura è escluso o neutralizzato in un lavoro compositivo che si rivolge soprattutto ai campi armonici e alle loro sonorità. In una conferenza tenuta agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt nel 1956, Stefan Wolpe - l'unico compositore oltre a Cage che Feldman considerava come una sorta di maestro - inserì i brevi pezzi per pianoforte di Wolff e Feldman nel quadro di un'arte degli 'estremi' il cui capostipite sarebbe Edgard Varèse:
Il movimento, che in Varèse è già assai rallentato e contenuto, giunge in Christian Wolff a un punto di arresto - di apparente arresto. Vi è probabilmente la tendenza di isolare gli eventi l'uno dall'altro in modo che sembrino sospesi nello spazio e non capaci di moto proprio. [... Feldman] si interessa alle superfici più sottili possibili, a quel resto di figura che si può ancora cogliere a distanza.[9]
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Esempio musicale 1: Intermission 5 (batt. 1-12) |
Iniziamo la nostra disamina dei pezzi per pianoforte solo di Feldman con due composizioni del 1952: Intermission 5 ed Extensions 3. Entrambe sono caratterizzate da una disposizione prevalentemente verticale degli eventi sonori, da violente contrapposizioni dinamiche di pianissimo e fortissimo e dall'impiego di pattern ripetitivi. In Intermission 5 quattro accordi in fff (il primo all'inizio) fungono quasi da tracce per l'orientamento temporale in un universo sonoro che, come osservava Wolpe, si rivela e si definisce innanzitutto attraverso la dimensione spaziale. Dal momento che il pianista deve tenere premuti entrambi i pedali per l'intera durata del brano, questi accordi irrompono come deflagrazioni sonore nella cui risonanza vengono assorbiti i suoni in ppp immediatamente successivi. I tempi d'entrata di questi aggregati sono regolati da proporzioni molto semplici. Il pezzo è lungo 72 battute di 3/8 ossia un totale di 216 crome. Il fatto che 216 sia uguale a 63, ci fornisce un'indicazione circa il significato del numero 6. L'intervallo d'entrata degli accordi in fff , i quali possono essere considerati come scansioni del tempo musicale, è sempre un multiplo di 6.
Anche l'ampia sezione che segue l'ultimo aggregato in fff - lunga 119 crome, cioè più della metà del pezzo - è, a ben vedere, suddivisa in segmenti multipli di 6. A partire da batt. 56 abbiamo una sorta di coda costituita da un pattern ripetitivo; il pattern è di due battute (= 6 crome) e l'intero episodio dura 54 crome (= 6 x 9). Prima della coda vi è una lunga sezione di silenzio della durata di 12 crome (= 6 x 2) che a sua volta è preceduta da un pattern irregolare costituito da due notine (RE#-SOLb); se si considera parte integrante del pattern la battuta vuota 43, si vede che anche questo segmento ha una lunghezza multipla di 6 (cioè 24 crome). Un'ultima constatazione, che tuttavia in assenza di testimoni del processo compositivo non ha più valore di una semplice curiosità, è che il totale delle note impiegate nel pezzo è 138, numero risultante dalla moltiplicazione 23 x 6.
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Esempio musicale 2: Extensions 3 (batt. 1-16) |
Tabella 2: La segmentazione di Extensions 3
Seg. | Batt. | Seg. | Batt. | Seg. | Batt. | Seg. | Batt. |
1 | 1-7 | 7 | 33-37 | 13 | 66-69 | 19 | 108-113 |
2 | 8-11 | 8 | 38-44 | 14 | 70-74 | 20 | 114-122 |
3 | 12-14 | 9 | 45-50 | 15 | 75-78 | 21 | 123-126 |
4 | 15-20 | 10 | 51-52 | 16 | 79-89 | 22 | 127-130 |
5 | 20-28 | 11 | 53-60 | 17 | 90-101 | 23 | 131-133 |
6 | 28-32 | 12 | 61-65 | 18 | 102-107 | 24 | 134-137 |
Oltre alla funzione di demarcazione del tempo assunta dagli aggregati in fff, colpisce in Intermission 5 proprio la sezione conclusiva con il pattern ripetuto; anziché concludere, essa sembra contraddire gli eventi precedenti oppure introdurre una nuova dimensione temporale. Questo mutamento della dimensione temporale o, nella terminologia di Feldman, del tipo di 'superficie' sonora, caratterizza Extensions 3. Con le prime note l'ascoltatore viene introdotto in un mondo sonoro che si articola a piccoli segmenti: la musica sembra 'estendersi' nello spazio piuttosto che svilupparsi nel tempo. Le due settime maggiori sovrapposte con cui si apre la composizione non esprimono alcuna tensione armonica; esse delimitano semplicemente l'ambito sonoro in cui andranno a collocarsi le note successive e definiscono una classe di intervalli - quelli cromatici - alla quale si potranno ricondurre gli aggregati. La successione delle prime note - FA, MI, RE#, LAb, SOL, DO e SI - suggerisce quella logica del riempimento del totale cromatico che Henri Pousseur aveva definito <<cromatismo organico>>[10]; ma con il SOL# (enarmonico di LAb) di batt. 4 abbiamo una ripetizione e alla fine del segmento 1, che comunque rimane unitario nelle sue caratteristiche e nella sua posizione spaziale, contiamo 14 altezze di cui 3 sono ripetute. Manca il FA#, nota a cui saranno affidate nel corso del pezzo delle funzioni sempre particolari (vedi per esempio il segmento 11). A batt. 8 Feldman muta la configurazione del tempo ovvero - il che per la sua poetica rappresenta semplicemente un altro modo di vedere la stessa cosa - le caratteristiche materiali del suono: l'intervallo di nona MIb-FA viene ripetuto tre volte.
Se il riempimento dello spazio cromatico può essere considerato un momento dinamico della composizione (di suono e tempo), la ripetizione invariata non può che essere un fenomeno di stasi. Ed è proprio tra i poli di dinamica e statica, di processo e pattern, che si articola Extensions 3. Ne scaturisce una sorta di dialettica: l'insieme dei segmenti ripetitivi appare come un processo in cui si trasforma continuamente l'idea stessa di ripetizione; i segmenti processuali, dal canto loro, assumono man mano un carattere statico-spaziale che emerge con forza nei campi sonori conclusivi (segmenti 21-23). In questa prospettiva il termine 'estensione' ha un duplice significato: espansione della materia sonora nei limiti di un determinato spazio e carattere processuale della successione di eventi ripetitivi. Esaminiamo da vicino quest'ultimo aspetto. Confrontando diversi segmenti ripetitivi si nota che essi si distinguono per almeno una delle seguenti caratteristiche: durata del pattern, quantità di note utilizzate, densità dei singoli attacchi, numero delle ripetizioni.[11] Il segmento 4 differisce dal segmento 2 non solo perché il pattern comincia in maniera sfumata - con una nota estranea (un FA#!) e con il raddoppio alla quindicesima di DO# - ma soprattutto per la quantità di suoni utilizzati e il numero delle ripetizioni. Si noti tra l'altro come, forse allo scopo di accentuare l'assetto asimmetrico, il passaggio al segmento 5 avvenga con due note comuni che però sono scritte con una grafia diversa. Il carattere processuale del segmento 5 viene sottolineato dalla disposizione lineare delle prime note. Il successivo segmento processuale (8) assumerà la struttura ritmica di due crome puntate che caratterizza i pattern precedenti. A partire dal segmento 11, e fino a batt. 122, avremo quasi esclusivamente sezioni ripetitive, ma non ne incontremo mai due di identica struttura. Dall'intervallo di quindicesima reiterato periodicamente (segmento 11) si passa all'alternanza aggregato-bicordo (13), al bicordo ribattuto con aggiunta di una nota (15), a un pattern fatto di sole notine (17) per giungere a un'unica altezza ripetuta a intervalli di tempo irregolari (19).
In composizioni come Extensions 3 si è voluto vedere un prototipo della minimal music - ipotesi che viene però messa in discussione proprio dall'analisi della configurazione del tempo e degli eventi sonori. I pattern ripetitivi sono di breve durata; mancano la sovrapposizione metrica, la motorica e gli accordi tonali. Anziché dispiegarsi in maniera continua, come avviene nei processi graduali di Steve Reich e Philip Glass, il tempo musicale appare frammentario e discontinuo. Una vaga parentela, di ordine più estetico che tecnico-compositivo, potrebbe consistere in ciò che Ivanka Stoianova ha definito come caratteristica dell'<<énoncé répétitif>>: la negazione del procedere narrativo e teleologico che nella tradizione europea fissava il decorso di una composizione da un inizio determinato a un punto finale, risultante dell'intero processo tematico, armonico e formale.[12] A questo proposito occorre tuttavia osservare che tale rottura della direzionalità era stata già ampiamente compiuta dalla logica costellativa del pensiero seriale nonché dalla composizione degli eventi sonori praticata nel quadro di un'estetica dell'informale, anche al di fuori delle tecniche seriali.[13] La musica di Feldman è un esempio di apertura di nuove dimensioni dell'ascolto che, legata alla concezione di 'esperienza astratta' della scuola newyorkese, rappresenta un segmento del molteplice progetto dell'avanguardia. Nelle miniature per pianoforte di Feldman si può seguire un'evoluzione che conduce al di là dell'enunciato ripetitivo, verso la sovrapposizione e contrapposizione di superfici continuamente variabili.
In Piano Piece 1955 si profila un diverso orizzonte della problematica tecnico-compositiva. Che cosa succede per esempio se si suonano quattro note simultaneamente, sollevando immediatamente le dita dai tasti inferiori e lasciando vibrare la nota superiore fino a che il suono sia completamente decaduto? E se si completa un aggregato sonoro con le note adiacenti non superando i tempi di risonanza del medesimo?
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Esempio musicale 3: Piano Piece 1955 (batt. 14-15 e 22-23) |
Questa ricerca micrologica sulle forme di interazione, sulle mutevoli oscillazioni, sugli effetti di attrito e risonanza tra due o più suoni si arricchisce nei Piano Pieces 1956 di nuove strategie. Nelle prime tre battute del pezzo B, per esempio, vengono tenuti premuti i tasti FA2 e RE3 senza emissione di suono; su questa base viene suonata l'ottava RE4-RE5, azione che determina un'espansione del suono nell'ambito delle proporzioni razionali (si profila l'aura di un accordo di re minore); con l'aggiunta di DO1, poi di MIb3 e DO#4, la serie degli armonici si intensifica creando uno spettro complesso e instabile. Procedimenti di questo tipo attirano l'attenzione dell'ascoltatore su minime oscillazioni del suono che vengono prodotte sfruttando le possibilità di risonanza del pianoforte. L'obiettivo sembra essere una gigantesca amplificazione di un principio della poetica espressionista: auscultare la vita interiore del suono. E se tra gli obiettivi primari dell'Espressionismo astratto - che affonda una parte delle sue radici nella soggettività incondizionata di Kandinskij - vi era l'introspezione della vita del colore, la relazione tra Feldman e i pittori newyorkesi va oltre l'orientamento estetico, permeando la tecnica di produzione stessa. In uno dei suoi ultimi saggi su questioni musicali Theodor W. Adorno ha posto la convergenza tra musica e pittura al centro della problematica dell'arte degli anni Cinquanta e Sessanta:[14] non si tratta di un nuovo sincretismo, ma di una promiscuità dei generi artistici nella quale avviene uno scambio reciproco di concezioni e tecniche. Nella pittura, arte dello spazio, entra il movimento (soprattutto nell'action painting di Pollock); la musica, arte del tempo, comincia a definire le proprie creazioni in termini spaziali. Probabilmente Adorno non conosceva adeguatamente le opere di Feldman, altrimenti l'avrebbe citato come uno degli agenti di questo processo di convergenza.
Al volgere degli anni Sessanta Feldman abbandona la consueta battuta di 3/8 (o meglio l'unità temporale della croma puntata) e affida i complessi sonori, che vanno dalla nota singola ad aggregati di suoni disposti su più ottave, al loro proprio tempo di risonanza. In Last Pieces del 1959 vi sono solo occasionali corone, acciaccature o legature che regolano, accanto a vaghe indicazioni di tempo come <<slow>> o <<very fast>>, un decorso altrimenti libero. Il fatto che Feldman anteponga a ognuno di questi pezzi l'indicazione <<Durations are free>> non va inteso come sintomo di avvicinamento alla poetica del caso; l'indicazione pone implicitamente all'esecutore la questione di quali durate siano più appropriate a tali complessi sonori. Un interprete unilaterale, che per esempio attribuisse sistematicamente ai bicordi una durata tre volte maggiore a quella degli altri suoni, distruggerebbe inevitabilmente quell'equilibrio che è leggibile malgrado l'indeterminatezza temporale.[15] Che le durate siano 'libere' significa piuttosto che esse non sono legate a una premessa espressiva o a una legge costruttiva. Le caratteristiche materiali dei singoli eventi - la densità, l'ambito, la disposizione registrica, il grado di complessità dello spettro - e la loro successione dovrebbero bastare a fornire chiare indicazioni circa il loro tempo. Nella 'liberazione' delle durate si manifesta in modo indiretto l'utopia di un dispiegamento dei suoni senza costrizioni, a misura delle loro caratteristiche e possibilità individuali - utopia pienamente iscritta nell'estetica dell'informale.[16]
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Esempio musicale 4: Last Pieces #1 (prima due sistemi) |
Da queste molteplici combinazioni di suoni alla composizione per cluster il passo è breve. E certamente l'esperienza di Henri Cowell, che già nel 1919 aveva legittimato sul piano teorico i cluster[17] e negli anni Trenta era stato insegnante di Cage, era presente a Feldman quando egli cominciò a concepire i suoi 'pensieri verticali'. I cluster, aggregati di seconde maggiori o minori (o una mescolanza dei due tipi), sono accordi non più interpretabili nel senso dell'armonia funzionale. Le conseguenze compositive del loro impiego non si limitano però alla fuoriuscita da un pensiero regolato dal grado di dissonanza degli accordi e dal loro 'bisogno' di risoluzione. Il cluster è stazionario e può essere inteso come un unico suono di ampie dimensioni.[18] Lavorare su di esso implica l'adozione di nuovi criteri per il materiale: ampiezza (la quantità di note), ambito (la grandezza dell'intervallo esterno) e densità (il grado di riempimento dell'ambito); a questi criteri si aggiungono le tradizionali dimensioni di intensità, durata e timbro, che in una composizione con cluster acquistano un significato del tutto nuovo. In Apparitions, Atmosphères, Volumina e nel Concerto per violoncello - opere pressoché coeve a quelle di Feldman che stiamo esaminando - György Ligeti praticò diverse tecniche di strutturazione, coloramento e trasformazione dei cluster.[19] Malgrado alcune affinità superficiali e un'indiscutibile contemporaneità delle opzioni estetiche, i 'pensieri verticali' di Feldman hanno però poco in comune con le textures di Ligeti. Assente è il progressivo completamento cromatico del complesso sonoro e il suo evolversi per ramificazioni. In Feldman gli agglomerati di suono si susseguono in maniera discontinua, adirezionale e spesso sono separati da silenzi più o meno lunghi. Questo fatto potrebbe suggerire l'idea di un'irregolarità ed eterogeneità generalizzata, una negazione di ogni tipo di connessione o coesione esibita attraverso l'isolamento di eventi non comunque commensurabili.
Per capire se ci troviamo davvero di fronte a un tale atto di negazione radicale, prendiamo in considerazione due composizioni del 1963: Piano Piece (for Philip Guston) e Vertical Thoughts 4. Entrambe consistono di una successione di aggregati che hanno ciascuno un valore di durata variabile da 66 a 88.[20] Le uniche varianti ritmico-temporali sono date da acciaccature, legature, lasciar vibrare e corone. I complessi sonori sono costituiti da un numero di note che varia da uno a nove; le note singole sono quasi sempre nei registri estremi e precedono spesso le corone. A un primo sguardo si distinguono due tipi di accordi: quelli che prevedono come intervallo più grave una quarta e quelli in cui esso è una seconda.[21] Gli accordi del primo tipo si possono ipoteticamente ricondurre a una serie di quarte:
- Vertical Thoughts 4, primo aggregato:
interpretabile come accordo di quarte con spostamento di FA e sostituzione di LAb mediante la coppia di alterazioni SOL-LA:
- Vertical Thoughts 4, quarto aggregato:
trasposizione all'ottava del precedente complesso; mancano SOL e REb, si è aggiunto il DO6.
- Piano Piece (to Philip Guston),
sesto aggregato: | nono aggregato: |
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sono costituiti entrambi da note che si possono riordinare su una scala di quarte; la concentrazione registrica pregiudica in gran parte l'effetto acustico degli accordi di quarta. Questo fatto pone un problema analitico che non va ignorato: se a questi aggregati sia appropriato il termine di accordi di quarte che, come è noto, si è canonizzato con la Kammersymphonie di Arnold Schönberg. Infatti la caratteristica principale di questi accordi è che le loro componenti si dispongono effettivamente per quarte e non vengono permutate. Se tuttavia si accetta l'ipotesi che Feldman abbia ricavato questi aggregati dalla scala di quarte, si riconoscono diversi gradi di trasparenza delle sonorità di quarta; alcuni caratteri comuni (l'intervallo di base SIb-MIb, per esempio) inducono a classificare questi aggregati in un'unica famiglia - legame di appartenenza ancor più percettibile se li si mette a confronto con gli altri accordi di seconda e terza.
Soffermiamoci maggiormente sul primo sistema di Vertical Thoughts 4. Le corone lo suddividono in quattro sezioni. Nella prima viene presentato l'aggregato caratterizzato dagli intervalli di quarta; nella seconda viene elaborata l'opposizione tra accordi di 'quarta' e di 'seconda-terza'. Il primo e l'ultimo accordo di questa sezione hanno nuovamente le note più gravi in comune: SOL#, LA e DO. Anche nel secondo complesso predomina la sonorità di seconda e terza, con un tritono in posizione acuta. L'aggregato centrale appartiene alla famiglia degli accordi di quarta; mentre i tasti rimangono premuti, si aggiunge il DO6, artificio con cui si ristabilisce la sonorità di tritono nel limite acuto. Analoghi processi di trasformazione e ridefinizione degli aggregati si possono osservare anche nelle seguenti sezioni. Principio fondamentale appare essere quello per cui nessun evento può apparire per due volte nella stessa configurazione, ma deve essere sempre alterato, diminuito, compresso, ecc. Feldman concepisce l'opera come un campo di energia, disponendo i suoni in modo che risultino momenti di concentrazione, dilatazione e rarefazione della materia. In Vertical Thoughts 4 e Piano Piece si possono distinguere, malgrado l'affinità strutturale degli aggregati, due differenti concezioni formali. Nei primi due sistemi di Vertical Thoughts 4 si realizza una sorta di equilibrio formale: una nota isolata da due corone funge da parete divisoria tra due sezioni; il maggiore impiego di suoni nel secondo sistema è compensato da un più rapido decorso delle acciaccature. Nel terzo sistema aumenta la concentrazione della materia sonora: si susseguono eventi complessi, ma l'iniziale instabilità provocata dalle acciaccature viene superata nella seconda metà con formazioni accordali più dense. Infine la materia sonora diventa più rarefatta fino a giungere alla nota singola. Si noti la preparazione della chiusa attraverso l'unica ottava del pezzo, SOL4-SOL6, seguita da SOL5 (la stessa nota singola che costituiva lo spartiacque del primo sistema).
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Esempio musicale 5: Vertical Thoughts 4 (prima due sistemi) |
In Piano Piece (to Philip Guston) Feldman concentra invece la materia nei primi due sistemi; a parte l'evento d'apertura le notine appaiono sempre come suoni isolati in registri estremi. Poi l'attenzione dell'ascoltatore si orienta sulle risonanze di aggregati a spettro complesso; alcuni di essi vengono prolungati e sovrapposti a nuove sonorità, in altri casi si presentano acciaccature a più note, alcune delle quali vengono tenute. La questione dell'organizzazione armonica nella musica di Feldman, anche limitatamente agli anni Sessanta, non si può esaurire con queste brevi osservazioni ma andrebbe discussa a partire da un confronto di opere per diverso organico. Tuttavia dalle considerazioni analitiche finora fatte emergono indizi circa un rapporto tra la struttura registrico-intervallare degli aggregati e la loro disposizione nel tempo. In tal senso andrebbe approfondita la concezione dello spazio così fondamentale nelle composizioni di Feldman; la sua delucidazione offrirebbe nuovi spunti per comprendere le complesse relazioni tra musica e pittura sotto il segno della poetica dell'informale.
Notes: | |
1. | Sul rapporto tra Cage e la pittura cfr. Conversing with Cage, ed. by Richard Kostelanetz, New York, Limelight Editions 1994, pp. 173-198. |
2. | Cfr. Eliza RATHBONE, The Role of Music in the Development of Mark Tobey's Abstract Style, <<Arts Magazine>>, December 1983, pp. 94-100, e Mark Tobey: City Paintings, National Gallery of Art, Washington 1984 (con un saggio di E. Rathbone). |
3. | Cfr. Irving SANDLER, "The Club", in Abstract Expressionism. A Critical Record, ed. by David Shapiro and Cecile Shapiro, Cambridge/New York, Cambridge University Presse 1990, p. 54. Uno di questi testi - Lecture on Nothing - è pubblicato in John Cage, Silence, Hanover New Hampshire, Wesleyan University Press 1973, pp. 109-128 [traduzione italiana: Conferenza su niente, <<Incontri Musicali>>, III 1959, ora in John Cage, Silenzio, Milano, Feltrinelli 1971, pp. 70-84]. |
4. | Cfr. Steven JOHNSON, Rothko Chapel and Rothko's Chapel, <<Perspectives of New Music>>, XXXII/2 1994, pp. 6-53. |
5. | Cfr. Morton FELDMAN, Essays, hrsg. von Walter Zimmermann, Kerpen, Beginner Press 1985. |
6. | Cfr. M. FELDMAN, <<Zwischen den Kategorien (Between Categories)>>, in ibid., pp. 82-84. In questa raccolta, che generalmente presenta i testi in lingua originale con traduzione tedesca a fronte, il saggio appare solo in tedesco; l'originale sembra essere perduto. La traduzione tedesca si basa sulla pubblicazione svedese (<<Nutida Musik>> XII/4 1968-1969, pp. 25-27) e francese (<<Musique en jeu >>, I 1970, pp. 22-26). |
7. | Ibid., p. 84 (qui come altrove, se non altrimenti specificato, la traduzione è da intendersi a cura dello scrivente). |
8. | M. FELDMAN, <<After Modernism>>, in ibid., pp. 97-108: 107. |
9. | Stephan WOLPE, On New (and Not-So-New) Music in America, <<Journal of Music Theory>>, XXVIII/1 1984, pp. 1-45: 43-44. La versione originale tedesca (Über neue (und nicht so neue) Musik in Amerika) è accompagnata dalla traduzione inglese e da utilissime annotazioni di Austin Clarkson. |
10. | Cfr. Henri POUSSEUR, Anton Weberns organische Chromatik, <<die Reihe>>, II 1955, pp. 56-65. Traduzione italiana (<<Il cromatismo organico di Anton Webern>>) in Anton Webern. Spunti analitici: interpretazioni e metodologie, Roma, Nuova Consonanza 1991, pp. 42-60. |
11. | Vi sono altri due aspetti (la cui rilevanza mi è stata gentilmente segnalata da Angela Ida De Benedictis) sui quali non mi soffermerò in questa analisi: la direzionalità dei pattern e la loro collocazione nell'ambito dei registri. |
12. | Cfr. Ivanka STOIANOVA, Musique répétitive, <<Musique en jeu>>, XXVI 1977, pp. 64-74. |
13. | Cfr. Gianmario BORIO, Musikalische Avantgarde um 1960. Entwurf einer Theorie der informellen Musik, Laaber, Laaber 1993. Sui molteplici intrecci tra pittura informale e musica cfr. anche Marco LENZI, Vie dell'astrattismo. Alcune informazioni su Feldman, Clementi e la pittura, <<Musica/Realtà>>, XV/47 1995, pp. 79-93. |
14. | Cfr. Theodor W. ADORNO, <<Über einige Relationen zwischen Musik und Malerei>>, in T. W. ADORNO, Gesammelte Schriften 16, hrsg. von Rolf Tiedemann, Frankfurt a.M., Suhrkamp 1978, pp. 628-642. |
15. | Come esempio di interpretazione esagerata delle libertà esecutive relative al tempo ricordiamo la prima esecuzione di Piano and Voices che ebbe luogo in occasione della Woche der avantgardistischen Musik a Berlino nel 1972. La composizione è per cinque pianoforti; ogni interprete sostiene la sua parte cantandola a bassa voce. La partitura prevede che, dopo avere iniziato insieme, ciascuno dei cinque pianisti (in questo caso John Cage, David Tudor, Cornelius Cardew, Fredric Rzewski e Feldman stesso) segua una propria linea temporale. Cage prese l'indicazione di tempo libero troppo alla lettera e finì per fare la parte del solista in un lunghissimo finale (registrazione negli archivi del Sender Freies Berlin). |
16. | Cfr. T. W. ADORNO, <<Vers une musique informelle>>, in Gesammelte Schriften 16, cit., pp. 493-540. |
17. | Cfr. Michael HICKS, <<I cluster di Cowell>>, in questo volume, p. 59-80 segg. |
18. | Cfr. Mauricio KAGEL, Ton-Cluster, Anschläge, Übergänge, <<die Reihe>>, V 1959, pp. 23-37. |
19. | Cfr. Rudolf STEPHAN, <<György Ligeti: Konzert für Violoncello und Orchester. Anmerkungen zur Cluster-Komposition>>, in Die Musik der sechziger Jahre, hrsg. von R. Stephan, Mainz, Schott 1972, pp. 117-127, e G. BORIO, <<Kompositorische Kritik am seriellen Denken. Ligeti, Apparitions (1. Satz)>>, in Musikalische Avantgarde um 1960. Entwurf einer Theorie der informellen Musik, cit., pp. 33-57. |
20. | Un'indicazione di tempo così elastica pone dei problemi interpretativi non eludibili. Ci si chiede, per esempio, se si debba scegliere un tempo tra i due estremi e tenerlo dall'inizio alla fine del pezzo oppure se si debba (e come) variare il tempo nei limiti dati. Malgrado l'indeterminatezza in questo ambito, esistono ipotesi interpretative più valide di altre e alcune ancora da scartare. L'abbozzo di un piano del decorso non può comunque prescindere da un'analisi acustica dei singoli aggregati (affinità di struttura, gradi di risonanza, ecc.). |
21. | Vi sono alcune eccezioni il cui intervallo più grave è una terza. |
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